Leonardo

Fascicolo 12


Dolore e azione (in difesa di una legge)
lettera di Ettore Regalia
pp. 8-11


p. 8


p. 9


p. 10


p. 11



Ettore Regalia ci manda questa risposta alle obiezioni che facemmo nell'ultimo numero alla sua legge.
Pubblichiamo volentieri la sua lettera alla quale risponderemo nel prossimo fascicolo.



Egregio Gian Falco,

   Nell'ultimo numero del «Leonardo» Ella ha avuta la bontà, non comune davvero (Ella non l'ha, quasi, comune che con sè stessa), di occuparsi della mia modesta persona, cominciando dal rilevare la mia modestia precisamente, che arriva, secondo Lei, al patologico. Mi guarderò dal rispondere a questo appunto, sia per non sembrare di averne paura, sia perchè Glie ne debbo anzi gratitudine, come di rimprovero dettato da benevolenza, in parte almeno, cioè da un tal quale dispiacere ch'Ella prova al paragonare l'ombra incombente su di me coi nimbi risplendenti intorno a certi altri. Di più me Le dichiaro cordialmente obbligato per le lusinghiere espressioni, colle quali Ella accenna all'opera mia, tanto scientifica quanto psicologica: i suoi elogi formano già, di per sè, una remunerazione ragguardevole delle mie fatiche.
   E basti ciò riguardo al lato personale, importando di passare ad uno speculativo, ossia alle obbiezioni ch'Ella muove alla mia legge. Ella scrive «sua legge» ed io accetto codesto aggettivo possessivo nel senso, che sebbene la legge non sia stata espressa per la prima volta da me, pure io ignoravo i miei precursori e l'ho trovata proprio da me, oltre di che ho estesa ed assodata la sua dimostrazione quanto di gran lunga non era mai stato fatto. In ciò sta il merito mio, che, se si considerano i concetti vaghi e le orribili confusioni regnanti anche ora nella psicologia, non dovrebbe giudicarsi un merito del tutto comune.
   Premetto schiarimenti, senza dei quali le mie risposte alle sue obbiezioni sarebbero poco, o non sarebbero, intese.
   Sono un autodidatto, massime in psicologia. Una forse più che ordinaria sensibilità mi ha condotto a riflettere sugli stati psichici e a formare su di essi dei concetti, anteriormente ad ogni lettura (la psicologia appresa nel Liceo non poteva contare), concetti non modificati poi dalle letture, o appena. E come Ella sa, la mia opinione è, che ci siano due sole classi di fatti psichici, ossia due sole sorta di fatti tra loro irreduttibili: intellettivi o rappresentativi, e Sentimento, che ha due modi, Piacere e Dolore. Tutti gli altri numerosissimi fatti del Sentimento (Emozioni, Passioni, Affetti, ecc.) nonché la Volontà, affermati da tutti, o poco meno, gli psicologi, a parer mio non sono che parole.
   So bene che della cosidetta Volontà non ho fatta, ne' miei lavori, una critica sufficiente, e qui sono costretto a pochi rilievi. Nessuno psicologo ha ardito affermare un fatto volitivo così distinto com'è un dolore o com'è una sensazione di gusto da una di suono. In una volizione io trovo delle immagini di movimenti, tra cui parole, e il Sentimento impellente, ma nulla più. Un autore almeno, il Bain, è stato della mia opinione, senonchè ha affermata la Volontà per il fatto, che ad uno stato psichico quale è il su indicato «si aggiunge la caratteristica dell'azione»; come dire che un fatto B, susseguente ad A, è una parte di A, e che il movimento è un fatto psichico! Se mi si chiede: e allora come spiegate l'effettuarsi del movimento? rispondo: la supposta Volontà e il Sentimento sono egualmente psichici, onde non vi ha maggior mistero nel succedere del movimento al secondo anzi che alla prima. — Non basta, perchè ci sono stati con Sentimento, e tuttavia non seguiti da azione: bisogna spiegare il divario. — Come bisogna spiegare che ora ci sia, e ora no, la Volontà. Il non avverarsi del movimento esterno si spiega colle azioni inibitorie, susseguenti esse pure al Sentimento e non di rado coscientissime, riconoscibili anche negli animali, ad es. in un cavallo che viene abituato agli spari delle armi da fuoco. La questione è ben lungi dall'essere qui esaurita, ma, a parer mio, un fatto specifico Volontà, immaginato per spiegare il movimento, mentre non spinge se dal Sentimento non è spinto a sua volta, è una quinta ruota di carro. Al nome Volontà, invenzione del volgo, sostituisco un' analisi e dei fatti, col dire dolore movente.
   Circa ai tanti, e perfino detti innumerabili, Affetti, Emozioni ecc., le mie critiche hanno convinte alcune persone e anche Lei, se non erro. Gli psicologi riconoscono tali stati (più precisamente serie) come consistenti in Piacere e Dolore e in Rappresentazioni; collocano i due primi fatti nella classe Sentimento, le seconde in quella Intelligenza, e poi nella prima aggiungono gli Affetti ecc., ossia vengono a dire: manico, lama e coltello. Questo errore, da secoli si ripete imperturbato, se è vero, come pare a me, è maraviglioso. È uno dei più mirabili esempi della potenza delle parole.
   Un solo autore, a mia conoscenza, l'americano Dr. David Irons, ha sostenuto essere le Emozioni altrettanti fatti irreduttibili: Ella sa che ho durata poca fatica a mostrare come tale concetto sia fondato su confusioni e contraddizioni patenti e, data la indefinita varietà delle condizioni e reazioni, porti con sè la propria reductio ad absurdum.
   Il Sentimento non ha, insomma, secondo me, che due modi, universalmente riconosciuti, Piacere e Dolore. Questi non sono mai isolati, salvo per quella durata elementare che ci permette di riconoscerli, essendo sempre accompnati da fatti intellettivi, non fosse altro una sensazione.
   È però unanime l'accordo circa l'essere il Dolore ben distinto dalle rappresentazioni concomitanti nel caso di morte di un nostro caro, come pure dalle sensazioni organiche nella nausea o per la vista di un corpo umano straziato. Quindi io non faccio che allargare questa veduta col ritenere che tutti i cosidetti «caratteri» dei piaceri e dolori fisici (dolore lancinante, gravativo, dilacerante, ecc.) siano sensazioni o varietà di sensazioni e principalmente del Tatto, ossia fatti dell'ordine intellettivo: il Sentimento, invece, è il quid che sussiste al di là di essi, indefinibile per difetto di ogni somiglianza, privo di ogni analogia coll'Esteso, indescrivibile, è il psichico per eccellenza.
   Quindi gli stati sentimentali sono, per me, delle serie, in cui i fatti intellettivi si intrecciano, senza nasconderli, coi sentimentali, come un rado ricamo col canavaccio. Ammetto perciò il bisogno pratico di dire Odio, Ira, Pietà, ecc., ma queste serie non le vedo unicolori (tranne per una durata elementare), bensì quali mosaici, non di rado svariatissimi. Nel frequentissimo Desiderio si ha Dolore conseguente a privazione, seguito da movimenti diretti a farlo cessare (precisamente come un dolore positivo). Senonchè, quando i movimenti reali sono inibiti dal dolore conseguente alla rappresentazione della loro attuale inutilità, o finchè son lontani dal poter far cessare il Dolore, la reazione a questo, essendo fatale, ha bensì luogo tuttavia, ma idealmente; nel quale stato ancora ha il suo effetto, benchè più o meno leggiero e breve, cioè cessazione del Dolore, quindi Piacere. Tale serie può ripetersi più o meno volte e la durata di ciascun termine può variare parimenti, soprattutto quella delle Rappresentazioni accompnate dal Piacere e del Piacere stesso, arrivando al massimo allorchè viene perfino preferita la soddisfazione del Desiderio data dalle condizioni immaginate a quella data dalle condizioni reali. In difetto di queste, però, quasi sempre il Dolore risorge, quindi anche la reazione, che infine, se non vi è ostacolo, produce la cessazione del Dolore. Per abbreviare mediante le iniziali dei nomi, la serie Desiderio e spesso = R D : R' P, R D : R' P..., R D: reazione effettiva, D cessato. Perciò, se e in quanto dopo il Desiderio apparisce il Piacere, quello cessa, magari un istante, e la reazione è inutile e impossibile; si verifica cioè per un istante quello che avviene quando il Desiderio cessa definitivamente o per opera della reazione effettiva o per altra causa: perciò, se la reazione si rinnova, ed ha lo scopo e l'effetto di far cessare il Desiderio, è perchè questo, cioè il Dolore, si era riprodotto.
   Mi fermo a questa breve analisi, fatta in termini generici, per ragione di spazio; ma Ella sa che nei miei scrittarelli ne ho esposte parecchie, più specificate, ed anche appunto riguardo al Desiderio piacevole, da Lei altra volta obbiettatomi.
   Alla generalizzazione da me enunciata, ossia il Dolore è l'antecedente costante e immediato dell'azione più o meno cosciente e volontaria, Ella muove quattro obbiezioni che, per brevità, debbo soltanto accennare. 2" «La psiche.... contiene presenti, ogni momento, quegli elementi che nelle trattazioni—. appaiono..., isolati. Non c'è dunque uno stato stato di puro dolore» e perciò questo «non è mai il solo antecedente immediato dell'azione». — Che il Sentimento, o Piacere o Dolore, non sia mai puro, ma invece «sempre accompnato da fatti rappresentativi», l'ho detto io stesso, colle identiche parole, più volte: Ella conosce i miei lavori, ed è inutile che io citi. Ella ha poi bensì ragione di negare che il Dolore sia il solo antecedente immediato dell'azione, posto che ha sempre qualche rappresentazione al fianco; ma io l'ho ritenuto causa (psichica) dell'azione, in quanto che esso solo presenta ambidue i requisiti di causa, cioè quelli di immediato e costante. Le condizioni obbiettive (rappresentazioni che noi ne abbiamo) del Dolore variano all'infinito e perciò variano senza fine i movimenti atti, o tali creduti, a farlo cessare. Vi sono dunque combinazioni speciali d'immagini per ogni caso di azione, e, ammesso che ci dicano «come dobbiamo fare per toglierci il dolore», non saranno però mai la causa generale (e la questione è qui) dell'azione, posto che sono assenti in tutti gli altri infiniti casi. Per altro, essendo costante la presenza di una qualche forma del mondo esteso, ammetto doversi dire che è del pari costante il Rappresentativo. Ciò ammesso, ne segue che abbiamo un secondo antecedente del movimento cosciente, di un'importanza eguale a quella del Dolore? No, e per due perchè: 1° il Rappresentativo è un astratto, mentre la realtà consiste nelle rappresentazioni concrete, che sono infinitamente variabili; 2° queste sono, per sè, indifferenti (se no, sarebbero sentimento), giacchè, se una volta sono unite al Dolore, un'altra si uniscono al Piacere; così che non già in esse l'essere senziente trova la vera, intima, ragione di agire, ossia di far cessare lo stato attuale, bensì in quell'altro fatto, uno e solo, il Dolore.
   1a Spesso «l'azione è preceduta dal desiderio», che «non è sempre dolore, anzi è piacevole quando è accompnato dalla certezza di poterlo soddisfare.» — La questione fu già trattata nel mio art. Se il piacere sia movente e l'emozione irreduttibile (in «Arach. per l'Antrop.», 1902) e qualcosa ne ho detto anche di sopra. Il Desiderio è Dolore prodotto da privazione e seguito da immagini di movimenti diretti a farlo cessare. Che sia doloroso, cioè Dolore, tutti gli psicologi ne convengono, e il Bain, ad es., riconosce che può salire al grado di acute sujfering. Non è possibile, dunque, che diventi «piacevole», non potendo qualsiasi fatto diventare il contrario di sè stesso, pur restando lo stesso. Questo è esperienza, direi, e non «astrazionismo,» giacchè non può addursi un solo caso di esperienza, che faccia eccezione. Se il Desiderio doloroso è cessato, come si spiega il continuare, o subentrare, dell'azione reale, che verrebbe ad essere diretta a far cessare uno stato cessato? S'Ella si appellasse alla coscienza, risponderei che la mia, per lo meno, non Le dà ragione: io vedo che il Piacere prodotto dall'immagine della soddisfazione, nei casi in questione può occupare bensì una durata, in complesso, molto superiore a quella occupata dal Desiderio, ma delle punture di questi ultimo, intramezzate al Piacere, ho netta e viva coscienza, e le sento simili a quelle sentite prima che apparisse il Piacere, ossia quando Ella pure ammetterà essere il Desiderio, in quanto Sentimento, non altro che Dolore.
   3aStati di piacere (sorprese piacevoli ecc.) producono movimenti (saltare ecc.), mentre stati di dolore (fatica, scoraggiamento) producono l'inazione. Sulla prima parte dissi già qualcosa nell'art. su citato. I pianti e movimenti analoghi, dal volgo detti di gioia, sono prodotti, invece, da dolori rinnovantisi; ma è innegabile esserci movimenti posteriori al Piacere. Immediatamente? Io dico di no, perchè nella serie «colgo» la comparsa di desiderii, definiti o indefiniti, non importa. Sulla seconda: il Dolore conseguente a esaurimento produce esso pure del movimento, cioè le azioni inibitorie che reprimono i movimenti iniziali o anche formati. Ambe queste sorta di stati esigono un tale minuto esame quale sinora non è fatto, e di gran lunga.
   3aSpesso «si agisce per passare da una specie di piacere a un piacere diverso.» — Le spronate del Desiderio possono durare un attimo solo, ma hanno una durata e si ripetono, donde l'azione: ora, non si agisce mai per realizzare uno stato che non sia desiderato, cioè la cui mancanza sia piacevole anziché dolorosa. Un parallelo per la questione del fatto movente, intercalantesi nel decorso di uno stato piacevole, si ha nei casi in cui si agisce per mantenere uno stato: finchè non si presenta il timore che questo cessi, non vi ha ragione di agire, nè infatti può mai trovarsi una simile azione; donde è chiaro che questa azione è diretta a far cessare il timore, che è dolore e attuale.
   Sono giuste le sue accuse di «schematismo», «astrazionismo», sostituzione della logica all'osservazione? Non saprei dove abbia sostituita la logica ai fatti, e l'ho usata soltanto a stabilire i rapporti tra i fatti, dimostrando, quanto a ciò, gli errori altrui. Ho usato il solo strumento esistente, giacché il metodo che ha da detronizzare la logica, è per lo meno molto di là da venire. Fu detto strumento «grossolano» e sia; ma ciò non equivale a facile, dal momento che i pensatori si fanno sorprendere ín contravvenzione. Riguardo allo «schematismo», tutti gli psicologi hanno detto, prima di me, il Piacere e il Dolore: io poi altrove, più volte, e di sopra ho indicate delle ragioni di considerare il Sentimento come posto al di fuori del descrivibile, perciò come indefinibile e perciò sempre eguale a sè stesso (salvo il grado). Il Fouillèe manifestò eguale opinione. Questa veduta, o nuova o quasi, non è da rigettare senz'altro.
   Ella mi oppone il mind-stream e doversi «cogliere le sfumature più lievi e più fuggevoli» della psiche. Ma questo è quanto io ho cercato appunto di fare, e credo di esserci riuscito non peggio di molti altri, in parecchi esempi di Emozioni, mostrando che mentre gli psicologi scrivono un nome e tirano via, quasi si avesse che fare con dell'omogeneo, quel nome nasconde invece una serie, magari lunghissima e svariatissima, e in cui il Sentimento appare, a tratti, nei suoi due modi opposti.
   Nel sorprendente art. Morte e resurrezione della Filosofia Ella richiama quella mia sintesi, L'azione sempre diretta a far cessare lo stato attuale. Questa, se è vera, è la miglior dimostrazione della mia (diciamo così) legge. Le religioni, le legislazioni, l'educazione, la morale, l'istruzione, le opere pubbliche, le guerre e le paci, insomma le azioni collettive, non hanno mai avuto, al pari delle individuali, altro scopo che di mutare (far cessare) uno stato presente (crearne uno futuro è appunto ciò); e se lo stato presente fosse stato piacevole, nessuno avrebbe mai pensato a farlo cessare. Se gli omicidi, í furti ecc., se il camminare fra sterpi e sassi, se le miserie dei lavoratori, fossero indifferenti, non si avrebbe un solo precetto morale, le strade e le leggi sociali non esisterebbero. Per me è divenuto quasi evidente che non è possibile altra ragione di agire, ossia di far cessare lo stato attuale (qualunque poi sia quello al quale si tende, e ciò soltanto perché questo è rappresentato come atto a far cessare il primo), se non la ragione dell'essere il detto stato, in qualsiasi maniera, doloroso. Io non so vedere finquì neppure un'eccezione a quella legge e a quella sintesi.
   Non penso a negare, conosciute le vedute di Lei, che le generalizzazioni siano più o meno, filosoficamente, zoppicanti. Ma Ella stessa ammette che hanno almeno una pratica utilità e rispondono ad un bisogno irresistibile della mente umana. Ciò posto, se forse vero che io avessi trovata e in buona parte dimostrata una legge, di una generalità e importanza nemmeno sospettata (salvo da pochissimi, in Occidente), dei rapporti tra i fatti psichici e l'azione, cioè che il Dolore è il movente universale, crederei di non essere vissuto del tutto inutilmente.
   Verrà giorno in cui il suo bell'ingegno si convinca essere nelle mie opinioni più vero di quanto appaia a prima vista? Se lo augura il

suo obblig.mo
E. REGÀLIA


◄ Fascicolo 12
◄ Ettore Regàlia